A tu per tu con Francesco Aquila, vincitore di Masterchef 10. Il trionfo al talent culinario nel 2021, la necessità di formarsi, i piatti preferiti, il mondo dei social, gli eventi. In futuro, probabilmente, un ristorante tutto suo. Intanto ha cucinato per Giorgio Armani a Saint Tropez…

 

di Federico Robbe

 

Si dice spesso che lo show business porta i personaggi diventati improvvisamente “popolari” a montarsi la testa. E a dimenticare in fretta le origini semplici e l’ordinarietà della vita precedente. Ebbene, non è proprio il caso di Francesco Aquila, classe 1986, vincitore di Masterchef 10 e figlio di ristoratori. Nato ad Altamura ma cresciuto a Riccione, dove vive tuttora, dopo aver trionfato nel 2021 si rende subito conto di dover studiare, formarsi e continuare a imparare. Seguito dall’agenzia Capital Innova, oggi si divide tra show cooking, eventi, cene come chef privato, programmi tv e molto altro. E, pur avendo cucinato per una celebrità planetaria come Giorgio Armani, conserva la semplicità di sempre. E tiene i piedi per terra. Per uno che si chiama Aquila, non è mica scontato…

 

Come e quando nasce il tuo rapporto così stretto con il cibo?

Nasce già da piccolissimo, avrò avuto 6-7 anni. I miei genitori lavoravano tutto il giorno e io e mia sorella, che ha qualche anno in più di me, ci arrangiavamo a cucinare: dalla semplice bruschetta al piatto di caprese, passando per prosciutto e melone impiattato nella maniera più bella.

 

Quindi avevi già intuito che volevi fare di questa passione il tuo lavoro, in qualche modo…

Sì, con il tempo mi si è chiarito ogni giorno di più. Sono approdato in sala, dove ho lavorato a lungo, e poi naturalmente in cucina, dalla vittoria di Masterchef 10 in avanti.

 

A proposito, hai visto le ultime edizioni del programma?

Le ho viste con altri occhi e con un’altra consapevolezza di quel che arriva dopo. Comunque sì, ero molto curioso.

 

C’è qualche figura che ti ha colpito positivamente?

Sicuramente i giovani, che hanno una gran voglia di mettersi in gioco.

 

Che consiglio daresti a loro?

Di continuare a studiare e a imparare, perché Masterchef può essere solamente l’inizio, un punto di partenza. Anche se vinci o arrivi alla fine, non sei nessuno.

 

Questo giudizio mi pare interessante in un mondo, quello dello show business, dove è facile farsi tante illusioni..

Se sei pieno di illusioni, dopo un mese sei finito. Io sul mio lavoro ero già formato, per esempio, come maitre di sala e figura direttiva di un ristorante, ma mi sono reso conto che non ero in grado di gestire la cucina al meglio. Quindi avevo bisogno di approfondire e imparare: ho frequentato un corso all’Alma e ho cercato di formarmi su tanti versanti, per esempio sulla panificazione e sull’alimentazione gluten free.

 

Ci racconti di quando Armani ti ha chiesto di cucinare per un suo evento privato?

Sono stato contattato su Instagram dai suoi manager per un evento nella sua villa estiva a Saint Tropez, nel mese di luglio, quando è anche il compleanno di Giorgio Armani. E che fai, gli dici di no?

 

C’è qualcosa che non mangi e non cucini?

Mangio davvero di tutto, dalla cavalletta al filetto. Però non prediligo cucinare le frattaglie: non mi fanno impazzire.

 

Quali sono i tuoi formaggi preferiti?

Il pecorino e gli erborinati mi piacciono tantissimo.

 

E i salumi?

Prosciutto crudo, bresaola e salame. Il bello del salame è che ogni paese ha il suo, quindi c’è una varietà straordinaria. Mi piace soprattutto quello lavorato in punta di coltello, come si dice in gergo.

 

Quali vini prediligi?

Intanto io amo i vini,  sono un appassionato e anche un collezionista. Il vino per me è soprattutto rosso. Se mi dicessero: è l’ultimo bicchiere che puoi bere nella vita, non avrei esitazioni. Sceglierei un bel rosso. Mi piacciono molto i vini barricati, rotondi, con buona struttura. Tra i bianchi, preferisco quelli molto aromatici come il Gewurztraminer per esempio. Quanto alla bollicina, dev’essere fine, setosa ed elegante, come alcune maison di Champagne.

 

Cosa pensi delle cucine straniere?

Mi piacciono tanto perché in ogni viaggio cerco di ‘rubare’ qualcosa da quel continente o da quel paese e farlo mio. Sono appassionato in particolare di Thailandia e Brasile. Quindi mi ispiro alle ricette internazionali e le rielaboro a modo mio in una prospettiva fusion.

 

Come si compone il tuo menu ideale?

Come primo inserirei un bel riso, che sta bene con tutto. Poi carne o pesce. Diciamo che il mio menu ideale rispecchia i miei viaggi e le mie esperienze, quindi spazierei dal Nord al Sud del mondo, con un occhio di riguardo per l’Asia.

 

Parlando più in generale della ristorazione, si parla spesso di chi non trova personale. Tu come la vedi?

Il problema è ciò che abbiamo seminato prima. Quello che hanno seminato tanti, non tutti, albergatori e ristoratori. Il cameriere veniva visto come l’ultima ruota del carro e il cuoco era un ‘bruciapadelle’ messo in cucina e chiuso lì. Quando ci sono stati tutti i programmi sulla cucina c’è stata una sorta di rivoluzione su come venivano percepiti questi ruoli. Però il punto è che avevano seminato male prima, facendo allontanare le persone dal settore con proposte inconcepibili sul piano economico. Probabilmente, il 70% dei ristoratori medi ragiona ancora così.

 

Cosa vuole fare Francesco Aquila da grande?

Per il momento potremmo dire che è sull’isola che non c ‘è… In altre parole, sono in una fase di ricerca continua. Insegno a scuola e nel weekend sono sempre in giro per eventi e show cooking. Sto seminando su diversi fronti.

 

In futuro aprirai un ristorante?

Probabilmente, ma intanto mi godo quest’isola…

 

È più impegnativo uno show cooking o una cena come chef privato?

La cena da gestire come chef privato richiede più sforzi, perché bisogna pensare agli ingredienti da zero e poi sono sempre trasferte che occupano almeno un paio di giorni. Lo show cooking, tendenzialmente, è un po’ più soft.

 

Cosa pensi del mondo social?

Mah, spesso mi sembra un mondo finto e un po’ precario. È una vetrina, molti magari non sanno neanche cucinare… Non solo: se domattina i ‘padroni’ dei vari social decidessero di chiuderli, cosa potrebbe fare uno che dipende dalle piattaforme? Per questo invito tutti a studiare e crearsi un lavoro ‘autentico’, mettendosi in gioco e migliorando ogni giorno di più. È quello che dico sempre anche ai ragazzi: non fissatevi solo sui social; costruite qualcosa di ‘vostro’ e di vero. È l’approccio che ho con le tante aziende con cui collaboro stabilmente da tre anni, puntando sempre sulla mia persona. Tradotto: sulla sostanza e non sull’apparenza.

 

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