Il Guardian pubblica una scelta di 35 ristoranti da provare assolutamente in Europa. In Italia, i cinque suggeriti sono locali ghiottissimi, che non fanno parte delle solite classifiche ultrareclamizzate. E rendono merito alla piccola impresa culinaria familiare.

 

Tommaso Farina

 

Ogni tanto, le sorprese gradite sanno arrivare anche dalla grande stampa generalista, quella chiamata a torto o a ragione mainstream, e per giunta internazionale. The Guardian, lo scorso sabato 20 maggio, ha pubblicato una lista: i 35 ristoranti che vale la pena di visitare in Europa. Con il classico rasoio di Occam giornalistico, il titolista ha annunciato “35 of the best restaurants in Europe”: un’asserzione senz’altro impegnativa, ma che fa viaggiare la curiosità.

 

E la curiosità è stata ben riposta: i 35 ristoranti non sono super-stellatoni blasonatissimi, di quelli che appaiono in tutte le guide dell’universo mondo. E non sono nemmeno posti di rinomanza esclusivamente turistica, con terrazze a picco su insenature da sogno o vista panoramica sulla torre di Pisa. Sono, semplicemente, posti in cui si mangia bene, a giudizio di chi li consiglia. I suggeritori sono tutta una serie di incursori del giornale, radicati in ogni Paese preso in esame. Insomma i ristoranti in questione sono underdog, un termine inglese che definisce gli sfavoriti dai pronostici.

 

Nel caso dell’Italia, i nomi caldeggiati sono cinque, e sono stati selezionati da Katie Parla. Costei, che ho la fortuna di conoscere, è una simpaticissima giornalista americana, nata e cresciuta in quella che per alcuni è ‘la ventunesima Regione d’Italia’: il Jersey. Del resto, il cognome lascia ben pochi dubbi. Katie vive e lavora a Roma da una ventina d’anni, ha un master in cultura gastronomica italiana, ed è autrice di parecchi libri sulla cucina del Belpaese: cito solo Food of the Italian South, The Joy of Pizza e il recente Food of the Italian Islands. Lei è una che nei ristoranti ci va, li prova, li racconta e non se li fa spiegare da altri. Decisamente, è una persona titolata a suggerire deschi gastronomici da saggiare.

 

Nella sua città c’è il solo indirizzo che conosco: la Trattoria Da Cesare al Casaletto, un posticino di periferia, lontano dai circuiti turistici ma nondimeno raggiungibilissimo prendendo il tram numero 8, che parte da piazza Venezia, passa per largo Argentina e, dopo qualche decina di minuti, fa capolinea proprio al Casaletto, dietro villa Doria Pamphili. È il regno di Leonardo Vignoli, che porta avanti una tradizione familiare ultradecennale e offre i classici romani: polpette di bollito, filetti di baccalà dorati, tonnarelli alla gricia, rigatoni all’amatriciana o alla carbonara, trippa alla romana, coda alla vaccinara. Uniamoci poi una notizia recente: Vignoli ha appena preso in gestione la centralissima trattoria Settimio al Pellegrino, un posto affascinante vicino a piazza Navona, che rischiava di chiudere per sempre per via dell’età dei proprietari. Ora diventerà Cesare al Pellegrino.

 

Gli altri quattro suggerimenti di Katie Parla? L’unico al nord è La Lanterna di Diogene, a Bomporto (Modena), nelle terre del Lambrusco: una trattoria emanazione di una cooperativa sociale, che fa lavorare giovani in difficoltà. Il menù, tipicamente modenese e incentrato sulle paste fresche, fa precipuo uso di ingredienti prodotti nell’azienda agricola collegata alla cooperativa. Poi, c’è La Marina, sull’isola di Ponza. Non ha nemmeno un sito internet, e fa cucina semplice, di pesce. Katie Parla impazzisce per la loro parmigiana di melanzane e per le linguine all’aragosta, “preparate da un cuoco coi piedi nudi”, dice lei stessa. Quarto locale: Antica Trattoria di Pietro, di nuovo in Campania, a Melito Irpino (Avellino), non propriamente una meta di turisti mordi e fuggi. Lì si gusta cucina popolare: salumi di razza nera casertana, fiori di zucca fritti, cicatielli con il pulejo (mentuccia selvatica), agnello arrosto. Infine, un suggerimento ai confini della Repubblica: l’Osteria Il Principe e Il Pirata, sull’isola di Pantelleria. Niente male. Una volta tanto, la rivincita degli underdog meno reclamizzati doveva aver luogo su uno dei giornali più importanti del mondo.