The World’s 50 Best Restaurants quest’anno presenta solo un italiano tra i primi dieci: si tratta del Lido84, da sempre bistrattato dalla Guida Rossa. E tornano alla memoria le critiche di Enzo Vizzari sui voti dei giurati.
Tommaso Farina
Il miglior italiano quest’anno dei migliori 50 ristoranti al mondo? È solo settimo, ed è uno dei grandi scontenti storici della guida Michelin. Così va il mondo, oggi la notizia è questa: la dura legge del mestiere impone al giornalista di adeguarsi alla realtà giorno per giorno. Oggi, avevamo già in animo di parlarvi degli infortuni del pittoresco Salt Bae, cioè Nusret Gökçe, il macellaio-ristoratore sulla bocca di tutti, che recentemente ha dovuto alzare bandiera bianca a New York: nella metropoli americana, uno dei suoi locali non ha dato i risultati sperati. Ma il fenomeno mediatico ed economico del beccaio dell’Anatolia non può sicuramente paragonarsi all’eco mondiale della famigerata classifica The World’s 50 Best Restaurants, ideata ormai 21 anni fa dalla San Pellegrino (alias Nestlé) e diventata inaspettatamente un appuntamento annuale di portata forse pari a quella dell’assegnazione delle stelle Michelin.
Bene, cos’ha espresso l’illustre consesso della giuria? Il miglior ristorante di quest’anno, secondo loro, è il Central di Lima, chef Virgilio Martínez. Sorprendente? Non tanto: in Perù alcuni alfieri della cucina coraggiosa e di ricerca si erano già affacciati alla ribalta internazionale, in primis Gastón Acurio. Sul podio, due locali spagnoli: il Disfrutar di Barcellona e il Diverxo di Madrid, quest’ultimo particolarmente amato dalla critica italiana più incline agli entusiasmi. Al quarto posto, un basco: Victor Arguinzoniz, col suo Asador Etxebarri di Atxondo. Una classifica che sembra averci riportato a una quindicina d’anni fa, quando erano iberici ed euskadi a infiammare gli animi. Ai tanto sbandierati innovatori nordici spetta soltanto un quinto posto, occupato stabilmente dall’Alchemist di Copenhagen, regno di Rasmus Munk, a suo tempo definito da Dissapore, con asciutta sobrietà, “goleador del fine dining”.
Italiani e francesi dove sono? A noi è andata benino: la settima piazza è per il Lido84 di Gardone Riviera (Brescia), un ristorante che è un autentico caso. Il suo chef, il grande Riccardo Camanini, da anni è utilizzato come testimonial da chi non lesina critiche alla guida Michelin: secondo costoro, il ristorante meriterebbe da tempo almeno due stellette, e non soltanto una. C’è chi ha detto che le votazioni per il Lido84 sarebbero una sorta di ‘vendetta’ degli esperti contro la Guida Rossa. Chissà. Per trovare un francese, occorre guardare al decimo posto: lì c’è il ristorante del sessantatreenne Bruno Verjus, forse il personaggio più singolare del lotto, se consideriamo che ha iniziato a fare questo lavoro a 54 anni.
Tutto piuttosto interessante, come direbbe il tal dei tali. Personalmente, la pompatura di questa classifica non mi è mai piaciuta, così come non mi piace l’ossequio con cui è trattata dagli addetti ai lavori. Le eccezioni però non mancano. Oltre, modestamente, al sottoscritto, un altro collega ha negli anni espresso perplessità: si tratta di Enzo Vizzari, storico coordinatore delle Guide de L’Espresso ed ex giurato. Addirittura nel 2010, il gourmet biellese era parecchio critico in un’intervista concessa a Striscia La Notizia: “Una cosa è certa: qualche pressione, anche elegante o in alcuni casi più pesante, per indirizzare i voti c’è. Mi sono accorto che era un gioco divertente, ma funzionale a interessi che non mi riguardavano: da un lato, la risonanza mediatica, e dall’altro gruppi interessati a far emergere un ristorante anziché un altro”. A dimostrazione, Vizzari fece il Nostradamus: buttò lì i nomi degli italiani che quell’anno avrebbero fatto furore in classifica. Li azzeccò tutti.