Millantava esperienze pregresse in locali bi e tristellati di tutta l’America, ma una giornalista l’ha scoperto: di Casey La Rue, ristoratore di Dallas, i grandi maestri griffati Michelin non hanno saputo nulla. Lui: “Ero lì sotto falso nome”.

 

Tommaso Farina

 

Quello del personale e delle assunzioni è stato il problema forse più scottante della ristorazione nei mesi convulsi della rinascita dopo la recrudescenza dell’epidemia del Coronavirus: non si trovano cuochi, camerieri, finanche lavapiatti.

 

Ma anche chi il lavoro ce l’ha già e se lo tiene stretto, per giunta ad alti livelli, ogni tanto ha qualche problema. A inizio mese, la stampa italiana di settore ha riportato la notizia di una piccola bomba scoppiata nella texana Dallas. Avete presente che tra gli aspiranti chef di alto livello è molto considerata l’esperienza, anche solo come ragazzi di bottega, presso grandi ristoranti e sommi maestri? Ebbene: a volte queste esperienze lavorative si rivelano squisitamente inventate, e messe lì per colpire i datori di lavoro.

 

È il caso, a quanto sembra, di Casey La Rue: un ragazzone dai capelli radi e dalla faccia simpatica, che di lavoro cucina, ed è comproprietario di uno sciccoso locale della metropoli statunitense, il Carte Blanche. Va detto che una delle testate che hanno diffuso la notizia in Italia, ai primi di agosto, si è resa protagonista di un autentico svarione: Reporter Gourmet ha scambiato il ristorante texano per il suo omonimo di Parigi. C’è da sperare che la stortura verrà corretta, giacchè il Carte Blanche parigino non ha nulla a che fare La Rue, ed è feudo impenetrabile e sicuro del francesissimo Jean-Philippe Perol.

 

Attribuzioni a parte, che ha fatto il giovane e rampante La Rue? Claire Ballor, del Dallas Morning News, racconta come in varie interviste il cuciniere avesse sbandierato le sue variegate esperienze professionali: il Per Se (tre stelle Michelin) e il Daniel (due stelle) di New York, il Clio di Boston, e addirittura il locale di Joël Robuchon a Las Vegas. Niente male, anzi not bad. La Ballor però, da vera giornalista watchdog americana, ha voluto fare un controllo. Ha chiamato i ristoranti, domandando di La Rue. La risposta, disarmante, di tutti: “Non ne sappiamo nulla”. Tutti voli di fantasia, almeno sembra. Voli che hanno consentito a La Rue di crearsi una solida fama, e di aprire un locale tutto suo, il Carte Blanche. La Rue proprio poco prima su Instagram aveva tracciato una storia della sua carriera, rammentando di aver iniziato come lavapiatti e rivendicando la sua scelta degli stage: “È questo il modo di imparare, quando non hai frequentato una scuola di cucina”. Dopo lo scoppio della bomba, ha attribuito qualche responsabilità a un dipendente licenziato per furto: l’Arsenio Lupin della cucina aveva infatti dichiarato che l’organizzazione del ristorante faceva acqua, domandandosi se La Rue avesse avuto reali esperienze. E ha negato di aver mai pubblicato, nemmeno sul sito di Carte Blanche, presentazioni in cui si vantasse del suo curriculum.

 

Il Dallas Morning ha replicato a sua volta con uno screenshot della pagina Linkedin di La Rue: una pagina che lo indicava come capopartita al Thomas Keller Restaurant Group, la corazzata che detiene Per Se, al Dinex Group, proprietario di Daniel, e al Clio, tra il 2003 e il 2005. La Rue ha poi precisato che era andato a lavorare lì sotto falso nome (?), ma in anni in cui non avrebbe dovuto esserci. Dallas è davvero la terra delle soap opera… Conclusione? Il Carte Blanche è suo, dunque non deve rendere conto a nessuno. Ma la figura da paravento l’ha fatta eccome.