Grant Achatz, tristellato a Chicago, annuncia un menù a 18 mani. I nove cuochi sono tutti ’farlocchi’, generati con l’intelligenza artificiale. Che ha anche creato ricette basate sul loro fittizio background professionale. Un esempio? La cialda sferica di patate con gelato di panna acida e infuso di caviale…

 

di Tommaso Farina

 

‘Ricci di mare, cacao e intelligenza artificiale’. Vi ricordate il 1° febbraio 2024? Proprio quel giorno, la nostra newsletter si aprì con un mio articolo, che potete leggere comodamente sul nostro sito, in cui mettevo alla prova la perizia culinaria di ChatGpt, uno dei più accreditati chat bot generativi che sfruttano l’intelligenza artificiale. Gli avevo chiesto di compormi una ricetta per un primo piatto a base di maccheroni, fave, guanciale, ricci di mare, vino rosso, cacao, spezie orientali e lemongrass. Il generatore computerizzato, malgrado qualche ingenuità, aveva tirato fuori un procedimento quasi plausibile. Ebbene: oggi siamo andati oltre. Grant Achatz, 51 anni, americano di St. Clair (Michigan), a capo del Next Restaurant di Chicago (tre stelle Michelin, mica bruscolini), ha fatto il grande passo. L’annuncio ce l’ha dato il New York Times tre giorni fa: nel 2026, per quattro mesi, il locale di Achatz proporrà ai clienti un menù di nove portate, ciascuna creata da un diverso chef. E che c’è di strano? Ebbene: nella squadra di cuochi cooptata, fa capolino tale Jill, trentatreenne del Wisconsin, lo Stato americano celebre per i formaggi. Esperienze di Jill? Ferran Adrià, Jiro Ono (guru del sushi nipponico) e Auguste Escoffier. Qualcosa non vi torna? “Il suo brillante curriculum è ancora più impressionante se si considera che Escoffier è morto nel 1935”, commenta con una punta d’ironia Pete Wells, il giornalista di New York che dà la notizia. Ma come: Jill non ha 33 anni? O forse ne ha 133, strappando dunque alla francese Jeanne Louise Calment il record di persona più longeva della storia (122 anni)? Niente di tutto ciò. Jill semplicemente non esiste. È un parto della fantasia sbrigliata di Achatz, che l’ha creata inserendo alcuni prompt (parole chiave) nel generatore ChatGpt. Non contento, ha chiesto al bot di provare a inventare dei piatti che riflettessero, in qualche modo, le ‘esperienze professionali’ della funambolica Jill. Ecco dunque un “caviar-infused crème fraîche ice cream served in a crisp, wafer-thin potato tuile shaped like an eggshell”: un gelato di panna acida con infuso di caviale servito in una sorta di semisfera di patata a forma di mezzo uovo. Lo chef ha anche prodotto l’immagine fotografica, che pare pure invogliante (quella che vedete qua riprodotta l’abbiamo creata noi, sempre con ChatGpt, ndr). Moltiplicate il risultato per otto: anche gli altri otto chef del preannunciato menù del 2026 sono completamente inventati. Achatz l’ha proprio detto, riferendosi all’intelligenza artificiale: “Voglio che faccia il più possibile, senza dover preparare effettivamente il piatto”. Bella forza, diciamo noi: certo che non prepara il piatto, è solo un bot con input testuali. Per il robot c’è ancora tempo…

 

Abbiamo analizzato già nell’ultimo anno, e più di una volta, l’utilità che può avere l’intelligenza artificiale per un ristoratore, ma ci si limitava ad ausilii meramente tecnici per comparti come la razionalizzazione del menù e cose del genere. “Con l’aumento della capacità e della duttilità dell’IA generativa nell’ultimo decennio, molti ristoranti l’hanno adottata per monitorare l’inventario, pianificare i turni e altre attività operative. Gli chef non sono stati altrettanto rapidi nel chiedere aiuto ai bot per ideare nuove idee, nonostante artisti visivi, musicisti, scrittori e altri creativi abbiano collaborato attivamente con la tecnologia”, scrive Pete Wells. Beh, ora il muro è stato sfondato: “Pochi si sono tuffati a capofitto in questa avventura come sta facendo Achatz con il suo menu per Next, ma anche alcuni dei suoi colleghi stanno esplorando il mondo, chiedendo all’intelligenza artificiale generativa di suggerire spezie, di creare immagini che mostrino l’aspetto di uno spazio riprogettato o di un nuovo piatto, o di impartire loro corsi accelerati sui dettagli più raffinati della fermentazione”. Stiamo comunque tranquilli: si tratta di ‘aiutini’ e basta, impensabili da realizzare comunque senza persone in carne e ossa. “Cucinare rimane, in fondo, un’esperienza umana. Non è qualcosa che credo possa o debba essere replicato da una macchina”, commenta Dominique Crenn, supercuoca stellata californiana, che da parte sua ha categoricamente escluso il ricorso a simili mezzi.

 

Morale della storia: si prevedono Achatz … amari per la cucina tradizionale.