Gli americani hanno scoperto che selezioni più stringate, ma intriganti, sono la scelta migliore in tempi di crisi a tavola. Però l’innovazione non è squisitamente statunitense: da noi certi ristoratori illuminati hanno ripudiato la semplice quantità, in favore di scelte vinicole meditate e coerenti con la cucina.

 

di Tommaso Farina

 

Less is more. Togliere anziché aggiungere, per arricchire veramente. Nel mondo della ristorazione degli ultimissimi anni, questa direttiva pare essersi imposta come l’uovo di colombo per tanti esercenti alle prese con l’indubitabile crisi di certe tavole: menù più ridotti, minori pastoie per i clienti, minor invasività della figura del cuoco e dei suoi ‘spiegoni’, come li chiamano alcuni. Per farla breve: un fine dining più sportivo, non necessariamente meno ‘fine’. E la carta dei vini? Lo ammettiamo: rinunciare a certe proposte enciclopediche, a centinaia e centinaia di etichette, alla verticale di annate di prestigio di Sassicaia o di Sorì San Lorenzo può sembrare traumatico. Eppure, è vero che si beve molto meno oggi che non qualche anno fa. E che mantenere una cantina è un investimento ingente, e non solo per l’acquisto della materia prima da servire. Dunque, c’è chi corre ai ripari.

 

‘Restaurant Wine Lists Are Getting Much Shorter’: le carte dei vini al ristorante sono sempre più brevi. Così titola, sul New York Times, un corsivo di Eric Asimov, firma vinicola di punta del grande giornale, nonché nipote di Isaac, il mitico scrittore di fantascienza. Che dice Asimov? In sostanza, pare che anche in America, per coinvolgere maggiormente la clientela col vino, molti ristoratori abbiano optato per un approccio più amichevole (“friendlier”) alla carta dei vini.

 

L’esempio fatto è quello del ristorante Smitherens di New York, numero 419 della Nona Strada, nell’East Village: la sua lista dei vini è “scioccante” (Asimov dixit). In pratica, su 62 vini, 32 sono Riesling, germanici ma non solo. E 29 sono bianchi. Un solo rosso. Asimov giustamente chiosa: “Di rado ho visto una lista dei vini di tale carattere e personalità”. Tuttavia, francamente sono meno scioccato di lui: questo ristorante, specializzato in pesce e crostacei, in carta ha solo 13 piatti, tra l’altro di prezzo estremamente conveniente per New York. Mi sembra pure comprensibile, il fatto che la cantina non sia sterminata, e che la prevalenza sia di vini bianchi. Una scelta coerentissima. Per la cronaca, ci sono anche quattro vini italiani, se vi va di controllare. La sommelier e responsabile vinicola di Nikita Malhotra, comunque, conferma che a breve la scelta cambierà: proporrà una serie di Grenache (quindi vini rossi) da suoli sabbiosi. “È il bello delle carte dei vini corte: hai maggiore libertà a cambiarle”, spiega la stessa Malhotra.

 

Asimov continua cantando le lodi delle cantine agili, e incassa, sui social, il plauso di numerosi professionisti del campo. Per esempio, Jennifer O’ Flanagan, importante Pr statunitense molto addentro al mondo del vino, su Linkedin si dichiara d’accordo: “Le liste dei vini più corte sono TUTTO (il maiuscolo è originale, ndr). Sappiamo che il vino intimidisce così tante persone. Una lunga lista dei vini è semplicemente prevaricante”. La O’ Flanagan conclude dando poi alcuni suggerimenti della sua carta vini ideale: “Sii coerente con il modo in cui i vini sono elencati e descritti. Fornisci brevi note di degustazione. Non costringere le persone a indovinare”. Morale: chiarezza, chiarezza e ancora chiarezza. Ancor più facile da conseguirsi in una lista più concisa.

 

Stranamente, comunque, non sono gli americani ad aver lanciato questa tendenza. Quando ancora oltreoceano si diceva che senza decine di bottiglie, possibilmente ipercostose, un ristorante era battuto in partenza, qui da noi cominciava a diffondersi (un pochino) la cantina a rotazione: una lista dei vini settimanale, che propone ai clienti una selezione di bottiglie delle tante in magazzino, tenute già a portata di mano. Trovata che favorisce, tra l’altro, anche un servizio più celere e immediato. Altri mezzi che sono stati impiegati in Italia riscuoterebbero il favore di Jennifer O’ Flanagan: la sezione delle ‘bottiglie solitarie’ (vini di cui è rimasto solo un esemplare, servito a prezzo scontato), la divisione regionale meticolosa, oppure la carta dei vini mono-regione per celebrare il proprio territorio e valorizzare i prodotti locali. Personalmente, mi piacerebbe sapere cosa ordinano gli altri: sono pronto a scommettere che certe super-bottiglie sono destinate a rimanere in cantina per tanto tempo, prima che qualche facoltoso voglia liberarle. Una carta dei vini breve, focalizzata su vini di prezzo medio, con una-due referenze più care, e in rotazione frequente, potrebbe essere un’idea decisiva.

 

 

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