La nuova specifica del ministero delle Politiche Agricole ha dato la stura ai più devastanti commenti disfattisti. Nostalgie autarchiche? No: tutela del made in Italy. Ossia, tutela di una voce importante nel bilancio del nostro export.

 

di Tommaso Farina

 

Sovranità Alimentare: un binomio che ha dominato parte delle cronache politiche giornalistiche, all’indomani dell’insediamento del nuovissimo Governo Meloni. Nei fatti, il ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha mutato nome in ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare. Il nome, si capisce, ha fatto scalpore. Da noi, il semplice concetto di sovranità, tra i commentatori più o meno forbiti, come riflesso pavloviano evoca immediatamente l’esecrato ‘sovranismo’, parola-ombrello che, in una certa scuola di pensiero, richiama ideali populisti e protezionistici, se non proprio reazionari. Figurarsi, qualche nome autorevole ha accolto la notizia come se si trattasse di un ripristino della famigerata autarchia dell’ancor più famigerato Ventennio, giungendo a domandarsi se sulle tavole degl’italiani saranno proibiti gli ananas.

 

Ma proviamo ad andare oltre la superficie delle cose. “Diversi settori agroalimentari sono già oggi dominati da poche aziende in grado di influenzare i mercati alterandone le dinamiche naturali, l’evoluzione delle politiche e delle normative ma anche la ricerca, minando di conseguenza la stessa sovranità alimentare”: l’ha detto un pericoloso nazionalista o il nostalgico di qualche dittatura fuori tempo massimo? No: si tratta di Leo Bertozzi, uno che ha diretto il Consorzio del Parmigiano Reggiano per dieci anni e tuttora si occupa di tutelare i prodotti italiani lavorando nella governance di Origin Europa, l’associazione delle Indicazioni geografiche europee. Nella fattispecie, Bertozzi ha citato lo studio Food Barons 2022 realizzato da Etc Group, e ha puntato il dito contro gli oligopoli multinazionali nel settore agrochimico, delle sementi, dei macchinari agricoli.

 

Questa sovranità alimentare, che ad alcuni evoca fantasmi inquietanti, non sarà soltanto una tutela più rigorosa del nostro made in Italy agricolo, cioè uno dei settori che ancora contano qualcosa in questo Paese? La Francia, che di orgoglio nazionale ne sa qualcosa, ha pure lei il ministero della Sovranità Alimentare, e del resto fin da metà Ottocento ha elaborato il suo sistema di tutela dei propri vini, oltre che di molto altro. E in Québec un documento ufficiale del 2013 pose la medesima sovranità alimentare tra gli obiettivi chiave: che fossero fanatici autarchici anche in Canada? O magari il guru di Slow Food Carlo Petrini vagheggia nostalgie sospette da quando ha fatto di questa tematica una delle chiavi di volta del suo pensiero programmatico? Ma via. Una maggiore difesa del made in Italy è anzitutto un aiuto importantissimo alle nostre esportazioni.

 

Gli chef, stellati e non, l’hanno capito. Per esempio, Giancarlo Perbellini: “La sovranità alimentare ha tante sfaccettature, e il sistema Italia ha bisogno di maggiore tutela nel mondo. Spero che con questo passo il ministero si impegni a valorizzare e tutelare maggiormente le nostre unicità dell’agroalimentare”. E il bistellato Giuseppe Iannotti, dopo aver ricordato gli intendimenti della Fao, cita un documento del Forum di Nyéléni per la Sovranità Alimentare che dice: “La sovranità alimentare è il diritto dei popoli ad un cibo sano e culturalmente appropriato”. E conclude: “Chi si occupa di cibo oggi almeno sul titolo dovrebbe essere felice”.

 

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