Forte coi deboli. Debole coi forti. Oggi i commentatori sono meno liberi rispetto al passato. E il rifugio potrebbe diventare TripAdvisor. Ma se si trovasse una via di mezzo?
di Tommaso Farina
Forte coi deboli, debole coi forti. È davvero così la critica gastronomica italiana, che tra l’altro secondo alcuni non esiste più? La riflessione è d’uopo. Su Dissapore, lo scorso 17 ottobre, è uscito un pezzo firmato Valentina Dirindin. Titolo: “L’insostenibile leggerezza delle recensioni negative dei ristoranti irrilevanti”. Catenaccio: “La stampa gastronomica sembra avere una grande regola generale: mai parlare male dei ristoranti conosciuti, amati, potenti. Troppo facile, invece, fare i critici criticando posti di cui tanto non parlerebbe nessuno”. Nel titolo e nel catenaccio, c’è tutto il contenuto del bell’articolo. In sostanza: le rare volte che qualcuno critica pubblicamente un ristorante, di solito il bersaglio è qualche indirizzo tutt’altro che blasonato. E spesso, pure i non blasonati sono al riparo: su Facebook, c’è un gourmet molto competente, che scrive sotto pseudonimo, che ogni tanto delizia l’uditorio coi suoi racconti, tanto deliziosi quanto impietosi. Critiche puntualissime, acuminate, argomentate. Ma dei posti che critica, non fa mai il nome. Pubblica solo fotografie dei piatti incriminati. Il nome? “Chiedetemelo in privato”.
È vero: anni fa la critica era più libera. Su antiche annate della Guida dei Ristoranti dell’Espresso, quando ancora non aveva abolito prima i voti negativi e poi i punteggi tout court (sic), venivano descritti con perfidia certi deschi da incubo. E nemmeno i grandi, o futuri grandi, venivano risparmiati. Edoardo Raspelli aveva parlato maluccio delle Calandre di Rubano (Padova), e gli Alajmo avevano fatto tesoro di quegli appunti, tanto che oggi hanno (e mantengono) tre stelle sulla Guida Michelin. E adesso? Oggi, per una critica anche minima, si rischia di ricevere una lettera da un legale. O si scatenano vere e proprie tempeste.
Una delle ultime, quella del ristorante Bros di Lecce, di cui ci siamo pure occupati: una stroncatura a opera di Geraldine DeRuiter. Un’americana: negli Usa non hanno timori reverenziali, quantomeno non tutti, e certe cose vogliono ancora scriverle. Ci fu un pandemonio. Lo stesso, quando Edoardo Raspelli, ancora lui, nel 2019 espresse apprezzamenti negativi sul ristorante Inkiostro di Parma. Esemplare la reazione della proprietà, che semplicemente incassò, con signorilità. Addirittura furente, viceversa, quella di alcuni cosiddetti colleghi giornalisti del circo gastronomico, quello peraltro con cui Raspelli non fece mai comunella, improvvisatisi avvocati difensori del cuoco.
Che il rifugio sia Tripadvisor, come alcuni sembrano prefigurare? In effetti, su Tripadvisor anche i locali più stellati si beccano fior di critiche. Ma leggiamole, queste critiche. Talune espongono dovizia di argomenti, e fanno riflettere. Altre invece sono purissimo materiale per il nostro Stupidario dei Nuovi Mostri, una delle rubriche più lette e apprezzate del nostro giornale: una gragnuola di strafalcioni, di appunti strampalati, di veri e propri insulti in cui concetti come ‘ladri’ e ‘truffa’ si sprecano. A costo di apparire salomonici, ce la caviamo così: se si trovasse una via di mezzo? Se anche sulla stampa tornasse la critica costruttiva? E se si evitasse, dall’altra parte di agitare lo spettro delle querele? Forse tutto il comparto ne gioverebbe.
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