Il presidente del Consorzio, parla del suo rapporto con la Dop. Scrigno di una tradizione millenaria. Legata a un territorio che le dona caratteristiche uniche. E spiega perché gli chef sono fondamentali per la sua promozione.
di Elisa Tonussi
Mantovano, “un allevatore di vacche da latte, prestato al Consorzio per dare una mano”, così si definisce Renato Zaghini, presidente del Consorzio tutela Grana Padano. Il suo legame con la Dop è indissolubile. Ce lo racconta in un’intervista appassionata. In cui si sofferma sulle caratteristiche uniche di questo formaggio dalla tradizione millenaria. E su quanto può fare il Consorzio per sostenere il settore della ristorazione, in un’ottica di sostegno reciproco tra produttori e consumatori.
Cos’è per lei il Grana Padano?
Questo formaggio rappresenta tutta la mia vita! Sono nato in una caldaia dove si produceva Grana Padano nel cuore della sua zona di produzione. E sono allevatore, trasformatore e produttore. Immagini quindi cosa significhi per me questa Dop. Ha rappresentato tutto dal punto di vista economico, perché mi ha dato tante soddisfazioni. E dal punto di vista professionale, mi ha portato a sedere su questa poltrona nel Consorzio. Che è una grande responsabilità, ma è anche molto gratificante sotto l’aspetto personale.
In quale modo il Grana Padano racconta il territorio in cui nasce?
Il Grana Padano non può prescindere dal territorio in cui nasce. E dalla sua storia, che dura da oltre mille anni. Il Grana Padano nasce da un’intuizione dei monaci che, in passato, ricoprivano un importante ruolo per le persone e il territorio. All’epoca avevano necessità di conservare il latte in eccesso. E l’unico sistema per farlo era trasformarlo in un caseinato la cui produzione, nei secoli, è stata perfezionata e lo ha reso il Grana Padano che conosciamo. Certamente mille anni fa non era il prodotto affinato e buono che consumiamo oggi. Ha subito una grande trasformazione, pur preservando la sua ricetta originale. In questo territorio, infatti, il legame con le radici del lavoro del casaro è solidissimo. Per non parlare delle caratteristiche climatiche di queste splendide aree, che lo rendono il formaggio di altissimo livello, conosciuto in tutto il mondo, quale è oggigiorno.
È praticamente un prodotto antispreco…
Proprio così. E ci piace evidenziare questo curioso aspetto. Il Grana Padano può essere un ottimo testimonial per le campagne di sensibilizzazione contro lo spreco alimentare. Pensi anche alle croste passate in forno e messe nel minestrone! Proprio come le facevano i nonni…
In che modo viene prodotto il Grana Padano?
Quella del Grana Padano è una produzione a latte crudo, ciò significa che viene lavorato il latte miscelato risultato da due munte avvenute nell’arco di massimo 24 ore. Il latte non subisce alcun trattamento meccanico, né termico. Viene lasciato riposare una notte. Intanto, per affioramento naturale, nella parte superiore della caldaia si concentra la parte grassa, che viene utilizzata per la produzione di panna, burro e altri derivati. Il Grana Padano è quindi un formaggio semigrasso, perché non è prodotto con latte intero. Questa è una delle sue peculiarità: è adatto anche a chi ha specifiche necessità alimentari. Inoltre è naturalmente privo di lattosio.
E, poi, come il latte decremato diventa Grana Padano a tutti gli effetti?
La caseificazione è molto semplice. Al mattino, al latte decremato vengono aggiunti siero e caglio. Inoltre, per ridurre il rischio di gonfiore tardivo, dovuto alla contaminazione del latte da Clostridium Tyrobutyricum, è consentita l’aggiunta del lisozima, un enzima naturale estratto dall’albume dell’uovo. Il tempo si occupa del resto. È un prodotto estremamente naturale. Diventa Grana Padano a dieci mesi di età, quando gli esperti del Consorzio vanno nei magazzini di stagionatura, battono le forme e ne danno una valutazione. Se ritengono che tutti i requisiti sono rispettati, la forma viene marchiata a fuoco e diventa ufficialmente Grana Padano e destinata alle varie stagionature.
Quali sono le caratteristiche sensoriali delle diverse stagionature?
Noi abbiamo una grande fortuna: questo prodotto accontenta tutti i consumatori. Il Grana Padano appena marchiato, e fino a 15 mesi, ha un gusto dolce, gradevole, conserva il sapore del latte. Si presta ai giovani in particolare. Si passa poi all’Oltre 20 mesi Riserva che ha un gusto più spiccato. Si presta ai palati che amano sapori decisi. A breve partiremo con la promozione dell’Oltre 24 mesi, un prodotto raffinatissimo. Insomma, si passa da un gusto lieve a uno più saporito e complesso. Con questo prodotto soddisfiamo anche tutti i cinque sensi.
Come la pandemia ha inciso sui consumi di Grana Padano nel settore della ristorazione?
Con la ristorazione, purtroppo, siamo quasi completamente fermi. In Italia, però è cresciuto il consumo casalingo di Grana Padano. Quindi dal punto di vista numerico, la chiusura della ristorazione ha inciso meno. Ciò non significa che siamo tranquilli. Vuol dire che, alla riapertura dei ristoranti, al momento tra i più devastati dalla pandemia, dovremo, oltre che essere incisivi, pensare a iniziative per dare loro una mano. Attraverso loro possiamo far conoscere il nostro prodotto.
Auspicando che si torni presto alla ‘normalità’, quale ruolo possono giocare gli chef nella promozione della Dop, in un’ottica di sostegno reciproco tra produttori e consumatori?
Gli chef sono sicuramente un veicolo estremamente importante in generale per le Dop e le Igp perché trasmettono ai consumatori i loro valori: il territorio, la sicurezza alimentare, l’importanza dei controlli. Valori che non è scontato che tutti conoscano. Gli chef nostrani, dagli stellati alle trattorie, possono essere una vetrina esclusiva dei prodotti d’eccellenza italiani. È importante però che spieghino cosa sono le Dop e che ci sia chiarezza. Specialmente in questo momento in cui il formaggio viene direttamente grattugiato a tavola o servito in bustina. Una delle battaglie del Consorzio è segnalare se il prodotto grattugiato è autentico.
A che punto siete?
Stiamo investendo nei controlli e nella sicurezza affinché il prodotto, quando non ha più la crosta, sia comunque riconoscibile. Per noi quel che conta è non imbrogliare il consumatore. Non solo c’è un controllo visivo, ma anche analisi sul prodotto finito. È dunque importante per noi che gli chef agiscano in modo corretto e trasparente. Sarebbe bello arrivare in tempi abbastanza brevi a una legislazione che imponga che sul menù, dove sono indicati gli ingredienti, venga specificata la tipologia di formaggio utilizzata.