Roma – Tra i ristoratori c’è chi ha scelto di non aderire alla protesta di #ioapro e di percorrere le vie legali. Sono almeno 140 gli esercenti bolognesi che hanno scelto di fare ricorso al Tar del Lazio. Nessuna manifestazione dunque. Il comitato ‘Tutela ristoratori Bologna’ ha scelto piuttosto di fare appello al diritto per opporsi alle chiusure previste dai Dpcm. Il principale argomento sollevato è la discriminazione rispetto ad altre attività commerciali, dal momento che, nelle zone arancioni, quelle di somministrazione sono tra le poche a dover rimanere chiuse. Ci sono poi discriminazioni interne alla categoria stessa, visto che non tutti hanno ricevuto i ristori.
“I ristoranti non sono luoghi di contagio: lasciateci lavorare”, dichiara all’agenzia di stampa Agi Riccardo Bolini, uno dei fondatori del comitato, “con i protocolli di sicurezza che se ritenuti insufficienti si possono ridiscutere ma non si può continuare a tenere chiuse migliaia di attività senza avere alcuna base scientifica per sostenere questa decisione. Il governo ha deciso di chiudere i ristoranti per disincentivare le persone ad uscire ed evitare assembramenti. Allora si intensifichino i controlli. Noi siamo strumento e vittima di questa situazione”.
Oltre ai ristoratori bolognesi, anche un piccolo plotone di esercenti umbri, una quarantina, ha scelto di fare ricorso al Tar. Chiedono l’annullamento dell’ordinanza in cui si impone il divieto di consumazione ai tavoli a qualsiasi ora del giorno.