Tante piccole realtà di ristorazione a gestione familiare vanno bene, ma finiscono per chiudere per mancanza di ricambio. Di chi la colpa? Il mestiere spesso non piace ai più giovani, che decidono di fare altro. Tocca ai genitori farli ricredere.
di Tommaso Farina
Il dibattito sul futuro della ristorazione in un momento quantomai spinoso come l’attuale è più che mai aperto. Ieri il Gambero Rosso ha aggiunto un nuovo tassello a una discussione sempre più serrata. “Il declino silenzioso delle trattorie di famiglia tra crisi generazionale e nuovi nuclei che resistono”: così Sonia Ricci titola un articolo che suona come una sorta di inquietante de profundis. La riflessione ci stuzzica: finora i dubbi avevano riguardato più che altro l’alta ristorazione. Gli interventi sulla sempre minor sostenibilità delle tavole più ambiziose (e talvolta pretenziose) sono all’ordine del giorno. Si parla della disaffezione dei clienti, stufi di menù imposti dallo chef e lunghi come il pranzo di un matrimonio degli anni Ottanta, con piatti presentati in carta come elenchi di ingredienti, che puntualmente per essere capiti devono essere spiegati con minuzia e lungaggine dal malcapitato cameriere. “Contrordine: viva la cucina semplice”, hanno detto un po’ tutti. E ora scopriamo che pure le trattorie con meno pretese, quelle che non si fanno belle con cuoconi dal curriculum stellare (quando va bene) o con partecipazioni televisive all’attivo (quando va un po’ peggio), ma offrono la cara, rassicurante cucina della nonna, stanno stentando. Dove starà la verità?
Al Gambero in effetti tirano in ballo le problematiche intergenerazionali. Sempre più spesso, un giovane cresciuto letteralmente all’ombra del grembiule di babbo e mamma, magari col nonno e la nonna ancora operativi tra sala e fornelli, dice in cuor suo di volere una vita diversa. Massimo Cerulo, sociologo dell’università di Perugia, ha una sua idea: “Il giovane di oggi, figlio degli input che arrivano dai social, ha voglia di guadagnare subito e bene”. Decisamente vero. Sembra quasi che la gavetta sia diventato un concetto fuori moda, visti i successi improvvisi dei più variopinti youtuber, influencer, creator e chi più ne ha più ne metta. Mettiamoci poi le ragioni che ben conoscono i ristoratori che non trovano personale: oggi come oggi, lavorare al ristorante troppo spesso è sinonimo di turni massacranti, orari impossibili, stipendi non sempre lauti. È più che lecito ipotizzare che un ragazzo, che magari ha respirato tutto questo nell’attività familiare, possa non esserne proprio affascinato e voglia prendere la sua strada. Poi magari la suddetta strada si traduce in uno strapuntino in una multinazionale che ti prosciuga per 12 ore al giorno e che, mentre i boss decantano le qualità del ‘lavoro di gruppo’, si rivela una sorta di arena in cui i colleghi cercano semmai di sbranarsi a vicenda per un posto al sole: ecco, forse in tal caso cominciano a scattare i rimpianti, e la prosecuzione dell’attività paterna, reputata dispendiosa e non troppo cool, inizia ad apparire come una sorta di miraggio.
Siamo più scettici, viceversa, riguardo altre considerazioni di Cerulo. “La società contemporanea privilegia il ‘prestissimo’. Le trattorie familiari non soddisfano le necessità frenetiche degli avventori, che devono mangiare in fretta e spesso vogliono usufruire di strumenti della contemporaneità, come il wifi e gli schermi, o incontrare colleghi e clienti”. Ci sembra un falso problema. Da che mondo è mondo, i desinari in trattoria non sono mai lunghi come quaresime, specie all’ora di pranzo: anzi, i menù da lavoro sono oltremodo diffusi. L’incontro di colleghi ok, ma coi clienti invece è quasi sempre preferito un clima più tranquillo e poco affrettato, magari allietato da quel vino che in un normale mezzodì si eviterebbe. E il wifi si trova anche in trattoria, eccome.
Alcuni commenti all’articolo danno luogo a succosi spunti.
“Andrebbe anche detto che tante chiudono perché, a fine gestione, al posto che venderle a prezzi onesti pretendono mezzo milione assicurandoti ‘clientela abituale’”, dice Nicolò Farina, giovane chef monzese diplomato Alma. Più tranchant il gestore dell’Osteria San Pietro di Verbania: “Lo dico da anni che l’individuo medio è, gastronomicamente parlando, regredito! Ormai la tendenza è mangiare sempre di più spendendo sempre meno!”. Ecco: il cliente è l’ultimo che incolperemmo, visto che la cucina da trattoria non sta accusando i contraccolpi degli stellati. Il problema è quel che faranno figli e nipoti. Sarebbe bello se il proseguire un’attività ultradecennale tornasse a far gola a più e più giovani. Genitori, tocca a voi: fateli innamorare. Fategli capire perché fate questo mestiere.
Immagine generata con IA.
