Il celebre ristorante romano, ove si inventarono le fettuccine che in America sarebbero diventate un’icona, rischia lo sfratto. Si mobilita la politica e la cultura per difendere un indirizzo storico che merita preservazione.
Tommaso Farina
Anni fa, per svariate ragioni, mi trovavo ad andare a Roma su per giù due volte al mese. Un giorno, pranzavo da solo in uno dei miei ristoranti preferiti, in via del Leone. Accanto a me, in un tavolo vicino, si era seduta una coppia abbastanza giovane, straniera e di provenienza non precisata. La ragazza era sbigottita dal menù: non poteva credere che non ci fosse il ‘garlic bread’, ossia quei cracker abbrustoliti all’aglio che in America, forse per un’incredibile confusione con la bruschetta, vengono fatti passare per un’onnipresente specialità italica. Ma soprattutto: come potevano non esserci le ‘fettuccine Alfredo’? Lì il cameriere doveva ricevere l’Oscar per la professionalità. Difatti, aveva deciso di spiegare la dura realtà delle cose: “Le fettuccine Alfredo a Roma e in Italia esistono solo nella cucina di due altri locali di questa città, che si chiamano Alfredo. Noi non le facciamo”. Così, alla giovane turista crollò il mondo addosso: un piatto che per lei e per molti identificava l’Italia, in realtà in Italia è pressoché sconosciuto, o meglio è preparato da due soli ristoranti che ne rivendicano l’esclusiva. Si tratta di Alfredo a Piazza Augusto Imperatore (autonominatosi ‘Il Vero Alfredo’) e Alfredo alla Scrofa, in via della Scrofa.
Perché parlare delle fettuccine Alfredo? È semplice: l’Alfredo di Piazza Augusto ha ricevuto lo sfratto. I proprietari del centralissimo immobile, una società controllata dalla famiglia Benetton, la Edizione Property, che nel 2020 ha acquisito tutto per circa 150 milioni di euro chiudendo l’affare con Investire Sgr, pare voglia destinare la costruzione ad altri scopi. Alfredo è lì dal 1950. Prima, stava a via della Scrofa, e fu lì che Alfredo Di Lelio, lo storico fondatore, ideò le fettuccine. Erano (e sono) condite con una dose industriale di burro e di Parmigiano, e mantecate fino a formare una crema luculliana. Queste fettuccine stregarono Douglas Fairbanks senior e Mary Pickford, in viaggio di nozze a Roma: per tradizione, si fa risalire alla loro cena galeotta la celebrità delle fettuccine Alfredo nel continente americano, dove diventarono un caposaldo della cucina italoamericana anche a seguito di pasticci incredibili in una ricetta in origine semplicissima. Dopo qualche anno, Di Lelio vendette ad altri il suo locale in via della Scrofa e si trasferì a piazza Augusto. A via della Scrofa continuarono, va da sé, a cucinare le proverbiali fettuccine. E chiunque su un giornale si azzardasse ad attribuirne la primogenitura all’uno o all’altro locale, riceveva una garbata lettera del concorrente che diceva sempre: “I primi siamo stati noi”.
Alfredo a piazza Augusto, si capisce, oggi ha un’importanza storica che forse trascende il valore del piatto in sé, e di altre pietanze tuttora in carta, come la celebre ‘valigetta diplomatica alla Alfredo’ (un involtino di pollo e prosciutto). Per cui non stupisce che il consiglio comunale di Roma abbia appena presentato e approvato con 30 voti favorevoli una mozione che impegna il sindaco Roberto Gualtieri e la giunta a difendere il locale. La proroga è stata concessa fino a metà luglio, poi i titolari dovranno chiudere i battenti. È sceso in campo anche Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura alla Camera: “Difendere le botteghe storiche come Alfredo significa difendere il patrimonio immateriale della tradizione, e non solo la ristorazione, italiana del mondo”. Una chiusura sarebbe un peccato. Anche perché finora il sottoscritto ha provato soltanto le fettuccine di Alfredo alla Scrofa, e mai quelle di piazza Augusto. Per ora.