Un’intervista di Aldo Cursano fa scoppiare di nuovo il bubbone dei camerieri che mancano. Troppa svogliatezza nelle nuove generazioni? O saranno i contratti che non funzionano? E un ultraquarantenne non può lavorare?
Tommaso Farina
Ci risiamo. Come un fiume carsico, periodicamente nel mondo della ristorazione scoppia un bubbone giornalistico: quello del personale che non si trova. Il bubbone è soltanto giornalistico, si badi bene: non c’è nessuna novità purtroppo, i ristoranti non sono in difficoltà a mesi alterni e seguendo i titoli dei giornali. Lo sono sempre. Il casus belli è un’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica da Aldo Cursano, vicepresidente della Fipe Confcommercio. Naturalmente, la sua idea di fare un vero e proprio road show tra le principali città italiane per mettere in contatto le scuole alberghiere e dell’enogastronomia, le agenzie di somministrazione, i giovani e i datori di lavoro non era ritenuta abbastanza succosa da confezionarci un titolo. Così, il quotidiano che fu a piazza Indipendenza e ora sulla Cristoforo Colombo butta lì: “Abbiamo 140 mila posti da coprire tra camerieri, chef e barman. Ma i giovani vogliono le sere e il fine settimana liberi”. Boom. La solita storia. Sembra di rileggere titoli e sommari del 2022.
Cursano fa presente che al comparto mancano almeno 55mila camerieri, 30mila tra cuochi e sous chef, 16mila barman, 10mila banconieri di gelateria. In verità, quella di Cursano non sembrerebbe essere la solita filippica contro i bamboccioni sfaccendati, e riconosce che questo tipo di lavoro può essere ritenuto faticoso, quando non supportato da paghe decenti: “I ragazzi oggi ci chiedono più tempo libero e qualità della vita: non vogliono lavorare sei giorni di sera e poi nei fine settimana. Ma noi questo facciamo: lavoriamo quando gli altri si fermano”. In questo caso, secondo Cursano, la chiave sta nel rispetto dei contratti di lavoro: quelli offerti dalla Fipe sono contratti “che hanno costi per l’azienda da 20 euro lordi all’ora per un operaio. Ma ci sono altri 30-40 contratti che vanno al ribasso, senza diritti, scatti, permessi. Applicare il giusto contratto – da apprendisti prima, operai poi – consente di avere stipendi dignitosi: un apprendista circa 1.200 euro al mese, un operaio 1.400-1.500 euro e poi 1.800 e anche 2.000 o più su se si gestisce la sala. Si arriva anche a un netto per un quarto livello di 1.400-1.500 euro su 15 mensilità”.
In ogni caso, l’intervista ha fatto discutere. Tra gli interventi più interessanti c’è quello di Osvaldo Danzi, un cacciatore di teste d’alto profilo, che affida a Linkedin il suo pensiero. Definisce “orribile articolo” l’intervista uscita su Repubblica, e si pone delle domande: “Perché li cercate necessariamente ‘giovani’? Che contratti offrite? Come li cercate?”. Domande necessarie, per vari motivi: “Da quanto emerge dalle testimonianze non solo dei candidati, ma anche dai controlli che puntualmente vengono fatti dall’Istituto Nazionale del Lavoro, pare che – quando i dipendenti sono contrattualizzati correttamente, cosa non propriamente ‘automatica’ – troppo spesso i contratti siano part time oppure superino di fatto le ore contrattualizzate (ma di molto!). O magari, i contratti siano stagionali o a tempo. O ancora, le retribuzioni siano ben al di sotto delle competenze richieste”. Al che, Danzi si chiede ancora: “Qual è il motivo per cui un/una 40-55 enne non ‘va bene’ per le vostre attitività commerciali? Forse una commessa di 45 anni vi fa sfigurare? Un cameriere di 50 anni non è in grado di portare un piatto di pasta al tavolo? Un lavapiatti di 40 anni spreca troppo sapone? Una barista più matura fa il caffè peggio di un neodiplomato?”. Neanche a farlo apposta, il Gazzettino di Venezia riporta l’esperienza di una ristoratrice che ha un locale a Verona e un altro a Mirano (Venezia): “Mi ha chiamato un signore di 58 anni che vive a Verona. Un professionista che dava la sua disponibilità a venire sia a Milano che a Mirano, facendo il pendolare”. Possibile? Forse a certe domande converrebbe rispondere.