Chef Giorgio Locatelli si racconta. E, tra i ricordi della sua carriera, parla di Brexit e della pandemia. Che gli ha insegnato qualcosa di inedito. Non solo in cucina.

 

di Elisa Tonussi

 

Accento tipicamente settentrionale. Condito da qualche calco ed espressione anglofona. Tono sempre entusiasta. La parlata di Giorgio Locatelli è inconfondibile. In Italia è oggi noto tra il pubblico generalista perché giudice del noto programma televisivo Masterchef (show di Sky prodotto da Endemol Shine Italy, in onda ogni giovedì alle 21.15 su Sky Uno e NOW TV, sempre disponibile on demand). Ma, prima con lo Zafferano, poi con la sua Locanda, lo chef è volto della cucina italiana a Londra da oltre vent’anni. Locatelli ripercorre con noi la sua carriera e racconta come è cambiata la ristorazione inglese. Ci parla di Brexit e della pandemia, che gli ha insegnato qualcosa di inedito. Non solo in cucina. A dimostrazione che non si smette mai di imparare.

 

Ripercorriamo la sua storia. La sua è una famiglia di ristoratori, da figlio d’arte, qual è il suo primo ricordo ai fornelli?

Ho cominciato nel ristorante di famiglia, quando avevo 8-9 anni, insieme a mio fratello e ai miei cugini. Cercavamo tutti di aiutare. Io ero il più piccolo per cui non potevo servire in sala. Così ho iniziato a lavorare in cucina. Lì sono cresciuto.

 

È stata quindi una scelta naturale quella di fare il cuoco?

In realtà non mi sembra nemmeno di aver mai scelto! Ho sempre fatto questo. E sempre mi ha affascinato questo lavoro. Pur con alti e bassi, non ha mai smesso di piacermi. Anche da piccolino. Gli chef e i camerieri parlavano delle loro esperienze nel mondo e mi sembrava il minimo che anche io diventassi cuoco e viaggiassi.

 

Come mai è rimasto a Londra?

Dopo tre anni a Parigi, Londra è stata la città dove mi sono sentito più accolto. Avevo la sensazione che lì si potesse realmente riuscire a fare quello che si voleva, avendone le capacità. Così sono tornato a nella capitale britannica, dove già avevo trascorso quattro anni al Savoy prima dell’esperienza francese. Negli anni ’80 e ’90, nel Regno Unito c’è stata una crescita esponenziale della cucina italiana. Questo fatto ha sicuramente aiutato anche la mia carriera.

 

Cosa hanno rappresentato le stelle Michelin, prima allo Zafferano, poi alla sua Locanda?

Ogni chef desidera avere una stella, come ogni atleta sogna la medaglia olimpica. Lo Zafferano era il primo ristorante italiano indipendente e gestito da solo italiani. Per me ha significato moltissimo per questo motivo. Ciò che mi fa più piacere è l’averla riconfermata per i sei anni in cui sono rimasto. Così come abbiamo riconfermato per 18 anni fino a oggi la stella alla Locanda Locatelli. È un riconoscimento incredibile per me e per il mio team, che costantemente cerca di trasmettere i propri sogni ai clienti. Vogliamo che i nostri camerieri parlino con loro e trasmettano tutto quanto è italiano, non solo dal punto di vista del cibo, ma anche della cultura: la nostra eleganza, lo scambio. Per noi italiani, infatti, il cibo è quasi una merce di scambio. Mentre per gli inglesi è semplice nutrimento. Il concetto di scambio è presente a tutti i livelli della nostra società ed è molto presente nella ristorazione. Con il cibo, gli italiani riescono a trasferire tutte le loro capacità senza presunzione.

 

Fare tv ha cambiato la percezione che ha della professione del cuoco?

La televisione ha sicuramente aiutato la mia professione, che è anche cambiata tantissimo. Quando studiavo alla scuola alberghiera, a frequentarla era solo chi era già del mestiere e chi non era troppo portato per lo studio. Insomma, era un rimedio. Mentre negli ultimi vent’anni, la televisione ha sicuramente dato un giro di vite e aggiunto qualità al nostro lavoro. Io stesso sono cresciuto.

 

In che modo?

È cambiato il modo in cui lavoro. Ho senza dubbio un’idea più imprenditoriale di quello che faccio.

 

Come ha visto cambiare il palato degli inglesi e la loro percezione della cucina italiana?

C’è stato un cambiamento enorme con l’avvento dell’Unione europea. Negli anni ’80, nei supermercati, c’era solo un piccolo spazio dedicato alla cucina italiana. Con l’avvento dell’Europa, in qualsiasi supermercato inglese, la quantità e qualità di prodotti nostrani è aumentata notevolmente. Le regole e le certificazioni comunitarie, inoltre, hanno aiutato molto i piccoli produttori di qualità, che hanno saputo inserire correttamente i propri prodotti sul mercato. Questo ha facilitato i ristoranti: chi sapeva scegliere i prodotti, riusciva a creare dei menu di grande qualità, cosa che ha cambiato il senso del gusto degli inglesi. Mangiare italiano negli anni ’90 era super trendy! Tony Blair mangiava da noi. Anche il fatto che le middle class hanno iniziato a viaggiare di più ha facilitato la diffusione della nostra cucina. Una volta assaggiato in Sicilia il gusto di una sarda alla beccafico, un inglese si aspetta di ritrovare gli stessi sapori anche in un ristorante italiano in patria.

 

Come la Brexit sta cambiando le cose?

Da quando è entrata in vigore, non abbiamo ancora comprato prodotti dall’Italia. Continuiamo però ad avere rapporti con i nostri importatori e distributori. C’è sicuramente un problema alla dogana, che spero venga risolto presto. Ci sarà un incremento dei costi.

 

Come si sta organizzando per garantire la fornitura di prodotti ai suoi ristoranti?

Teniamo un contatto settimanale con tutti i fornitori, importatori e distributori a Londra. Per quanto riguarda il vino, a ottobre e novembre, abbiamo riempito al massimo i magazzini. Per i freschi, invece, ci sono dei ritardi e blocchi alla frontiera. Ciò che mi preoccupa di più, però, è la possibilità di accogliere nelle nostre cucine i giovani diplomati. Ora sarà molto più difficile per gli italiani venire qua a lavorare e ci saranno costi aggiuntivi. È bello accogliere ragazzi con sogni e aspirazioni. Conoscerli e offrire loro un lavoro. Teniamo molto alla formazione. Abbiamo sviluppato un programma insieme alle scuole alberghiere italiane, che ha funzionato molto bene: dopo un anno e mezzo alla Locanda, un ragazzo ha lavorato in tutte le postazioni della nostra cucina. Chiaramente adesso i giovani sceglieranno di andare in Francia o Germania.

 

Teme che possa impoverirsi la ristorazione inglese per questo motivo?

La ristorazione inglese ha le braccia aperte a tutto il mondo. Sicuramente, però, una buona quantità di ragazzi italiani che venivano a lavorare e formarsi, ora troveranno più facile andare altrove. Vedremo quando riapriremo, perché, per via del Covid, non se ne parla fino a marzo.

 

Alla sua Locanda Locatelli avete, però, pensato a un menù delivery e take away…

Sì, abbiamo pensato a tantissime iniziative! Visto che i nostri clienti sono sparsi per tutta Londra, era difficile creare un take away caldo. Così abbiamo ideato delle ‘box’ con un menù a tema per due persone. Ad esempio, ne abbiamo realizzato uno con il tartufo bianco. La nostra capacità di produzione, però, non è così elevata. Occorre inoltre pensare ai costi: se il ristorante è chiuso, con il furlough, lo stato versa l’80% dello stipendio, facendo consegna e asporto, invece, sono io a dover pagare i dipendenti e non è economicamente sostenibile. Abbiamo, però, fatto alcune collaborazioni di beneficienza. Tra le ultime, abbiamo preparato oltre 200 box per i meno abbienti con l’ente Felix. Ogni settimana, poi, un paio di persone dello staff si occupano di cucinare nell’hub Refugee community kitchen, dove preparano, tra le varie pietanze, piatti vegetariani per i poveri e i rifugiati. Queste iniziative sono importanti per mantenere alto lo spirito in cucina dei miei ragazzi. È vero che noi abbiamo problemi, ma c’è chi ne ha di peggiori!

 

Come avete approcciato, lei e il suo staff, tutte le sfide e i problemi legati alla pandemia?

Tenendo il ristorante chiuso e non avendo introiti, lo stato ci aiuta a pagare gli stipendi. Abbiamo comunque dovuto continuare a pagare il resto. Siamo, però, abbastanza solidi per riaprire a marzo o aprile. Io personalmente ho cercato di stare il più calmo possibile e rassicurare e stare in contatto con il personale per capire se qualcuno avesse bisogno del nostro aiuto. Questa pandemia ha dato uno scossone incredibile al settore e cambierà il rapporto delle persone con i ristoranti. Dopo il lockdown, che qua è durato fino a luglio, abbiamo lavorato benissimo. Abbiamo tagliato del 50% la capienza del ristorante e ridotto i giorni di apertura. La richiesta, però, era alta. E abbiamo notato che i clienti erano molto contenti di tornare al ristorante. Speriamo che, alla prossima riapertura, avvenga lo stesso.

 

I clienti dunque hanno voglia di uscire?

Per la mia esperienza, quando eravamo aperti, coprivamo il 120-150% dei coperti. Normalmente il ristorante ne ha 90, con il distanziamento e le protezioni, la capienza è scesa a 45, però, tutti i giorni accoglievamo 50-60 ospiti.

 

Cosa ha imparato dall’esperienza che stiamo ancora vivendo?

Ho imparato tantissime cose. Stando a casa, ho potuto stare a contatto con mia moglie e mia figlia tutto il giorno. Mia figlia mi ha perfino insegnato a cucinare alcune cose! Ma, soprattutto, ho capito che posso vivere anche senza il lavoro, pur essendo importantissimo. Da trent’anni viaggiavo su un treno sempre in corsa, mentre mi sono accorto che è anche piacevole sedersi ogni tanto sul divano e leggere il giornale. Adoro le serate: cucinare qualcosa, sedersi e mangiare. Non ci ero abituato! Normalmente alle cinque-sei di sera sono in cucina e, quando va bene, esco alle nove.

 

Un’ultima domanda, cosa le ha insegnato sua figlia?

Mi ha fatto scoprire lo student food, il cibo degli studenti, insomma dei ‘mappazzoni’, come direbbe Barbieri. Mi ha insegnato a cucinare con più libertà. Cucinando sempre al ristorante sono molto chiuso nella mia italianità. Mia figlia, invece, ha viaggiato molto ed è molto più aperta. Ho imparato a lasciarmi influenzare di più. Ieri sera, comunque, ho fatto i rigatoni con la besciamella e il tartufo al forno. E, con quelli, sono impazziti tutti!

 

A dimostrazione che non si smette mai di imparare…

È una delle ragioni per cui sono ancora interessato a quello che faccio e per cui sono ancora abbastanza rilevante. Talvolta incontro qualcuno che sa qualcosa di nuovo e mi lascia senza parole. Che si tratti di ingredienti o tecniche. Questa è una delle cose che amo di più della cucina e che dico sempre ai giovani. Questo è il bello della cucina!