Un ristorante tedesco fa pagare 35 euro solo per sedersi al tavolo. In Italia, una chef stellata offre le stesse cose, anzi di più, gratis. È proprio vero: non c’è una regola inderogabile su gestione e food cost.
Tommaso Farina
Che tempi, signori! Negli ultimi mesi, sembra che nel mondo della ristorazione si giochi alla trovata, anzi alla sparata sempre più assurda e iperbolica. Sparate che spesso trovano, a sostegno, incredibili paladini. Una delle ultime, è quella del balzello a 35 euro per chi sceglie un menù alla carta. Alcuni, pudicamente, parlano di ‘coperto’. Altri, meno poetici, dicono: è una tassa. Tranquilli, non siamo in Italia, ma ad Amburgo (Germania).
Nella città anseatica si trova un ristorante, il 100/200 Kitchen (la passione per i nomi anglofoni ed esoterici non ha contagiato solo il Belpaese, quantomeno), che ha un pedigree di tutto rispetto: la Guida Michelin gli dà ben due stelle, in aggiunta alla mitica stella verde. Questa enclave gastronomica è curata dalla coppia culinaria glamour formata da Thomas Imbusch e Sophie Lehmann, e sembra proporre una cucina di un certo spessore, visti i riconoscimenti. Tuttavia, l’occhio sempre vigile dei giornali locali, all’inizio di ottobre, ha fatto una scoperta. Chi sceglie il menù alla carta, deve pagare 35 euro di Gedeckpauschale: testualmente, ‘costo forfettario di copertura’. Un balzello che, stando a quanto promette il sito web, offre pane, burro e acqua. Ok, tutto a posto. Il menù alla carta ha costi decisamente importanti, che raggiungono e spesso superano quelli dei piatti del tre stelle italiano Dal Pescatore, di Canneto sull’Oglio (Mn). Un esempio: il ‘Kanalarbeiter Schnitte’ (qualcosa come ‘il taglio preferito da chi lavora nei canali’), ossia manzo crudo, frittelle di patate, crème fraiche e caviale, costa 80 euro; un secondo piatto del Pescatore viene sui 75. Il coperto a peso d’oro non è previsto, sembra, per il menù degustazione chiamato Feuer & Rauch (fuoco e fumo), che naturalmente, come in ogni posto fighetto che si rispetti, va prenotato via internet e, altra caratteristica dei posti che ‘tirano’, richiede il pagamento di una quota anticipata.
Dopo un forte attacco subìto sui social, Imbusch ha sentito il desiderio di giustificarsi: ha preso la penna in mano e sul sito web del ristorante ha scritto una specie di articolessa lunghissima, in cui spiega tutte le ragioni dei prezzi delle pietanze al ristorante e di certe scelte. Quanto ha scritto si può discutere, ma mi sento di concordare con lui sulla chiusa: “Abbiamo una richiesta: non andate in posti senza cuore e senz’anima per mangiare. Cercate le gemme della ristorazione, con passione. E se non riuscite ad apprezzarle, va benissimo. Ma per favore astenetevi dal dare giudizi su persone che, attraverso le loro azioni, regalano ad altri momenti che saranno ricordati e allo stesso tempo danno alle persone un lavoro con una giusta retribuzione”. Queste parole sono state pronunciate in riferimento agli insulti ricevuti dai soliti scalmanati formato social, che esistono anche in Germania, e si fanno sentire.
Vogliamo vedere, però, alcune diversità di gestione, per giunta nella nostra bistrattata Italia? Lo scorso 5 luglio, mi recavo a Milano, a provare la cucina di Viva Viviana Varese, il ristorante curato appunto dalla timidissima e gentile cuoca coi capelli corti. Ok: lei ha solo una stella e non due. Però da lei non c’è nessun balzello di coperto. Qualunque cosa tu ordini, prima ti arriva un pre-antipasto di tre assaggioni (accrescitivo) uno meglio dell’altro, tra cui la divina pizzetta tonda ripiena, a forma di bignè, o l’insalata con le chips d’amaranto. Pane e burro? Sissignori, ci sono, e il pane è di tre tipi, tra cui la mitica pagnotta di lievito madre, e grissini di bontà inarrivabile. Molte persone, dopo aver mangiato pane e pre-antipasto qui, si sentirebbero già sazie. E consapevoli di aver mangiato bene. Grazie Viviana Varese. Per fortuna non hai studiato le lezioni di food cost impartite, dal collega teutonico. E noi ne siamo felici…