Verona – L’industria vinicola italiana vale 31,3 miliardi di euro, coinvolge 570mila imprese e 870mila addetti. E vanta una spiccata vocazione internazionale, con ricavi all’export che nel 2022 hanno toccato gli 8 miliardi di euro. Questi i numeri del comparto resi noti dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly assieme a Prometeia durante la 55esima edizione di Vinitaly in scena fino al 5 aprile a Veronafiere.
“Troppo spesso il vino non è considerato dalla comunità economica per la sua reale dimensione. Il settore, con le sue imprese è cresciuto e ha affinato la propria managerialità fino a diventare un capitale strategico del prodotto Italia”, spiega Maurizio Danese, Ad di Veronafiere. “Siamo convinti che la strada per un’ulteriore crescita debba necessariamente passare dall’export”, che, ad oggi, copre il 54% del fatturato della produzione core.
“La spinta sui mercati esteri, tuttavia, passa anche attraverso una riqualificazione del mix di vini esportati. Con l’obiettivo di far salire il loro prezzo medio”, commenta Lamberto Frescobaldi, presidente Uiv. Prezzo medio all’export che, stando alle rilevazioni di Nomisma Wine Monitor, negli ultimi cinque anni, è salito del 13% per gli spumanti e del 23% per i vini fermi imbottigliati. Ma questa tendenza non riguarda solo le esportazioni. Anche sul mercato domestico, da tempo, si punta sulla qualità e sui vini di più alto valore. “A prescindere dalle tipologie è la tendenza premium la carta vincente delle nostre produzioni”, conclude Frescobaldi.